by Lauro Paoletto
Don Raimondo Sinibaldi, mons. Giuseppe Bonato, Giulia Agostini e Lauro Paoletto hanno incontrato le persone che rappresentano quelle “pietre vive” con le quali la nostra Diocesi coltiva percorsi di fede e amiciziaIn queste interviste di Lauro Paoletto troviamo alcune delle loro testimonianze.PADRE FRANCESCO PATTON: GUERRA IN ISRAELE, SERVE EQUIVICINANZA
"Di fronte al dramma che si sta consumando a Gaza, l'atteggiamento da assumere è quello suggerito dal Custode di Terra Santa p. Francesco Patton incontrato dalla delegazione vicentina composta da don Raimondo Sinibaldi, Giulia Agostini, Lauro Paoletto e don Beppino Bonato. "Davanti a israeliani e palestinesi serve la equivicinanza. Questa è l'opposto della equidistanza. L’equivicinanza è arrivare a capire la sofferenza degli uni e degli altri, come ha indicato Rachel Goldberg-Polin, la mamma del giovane israeliano Hersh, uno dei ragazzi feriti e rapiti da Hamas durante l'assalto al rave del 7 ottobre e di cui ancora non si sa nulla. Questa donna - ha ricordato Patton - è riuscita a dire che “bisogna che noi arriviamo a sentire la loro sofferenza e loro la nostra e che arriviamo anche attraverso questa esperienza ad accettarci reciprocamente”. Ma questa equivicinanza è un processo molto lungo e comunque bisogna prendere posizione, ma non contro, ma per e in ogni caso bisogna fare in modo che invece che produrre odio e rabbia produca empatia e compassione che alla fine è quello che ha fatto il Signore Gesù”.
CARDINALE PIERBATTISTA PIZZABALLA: LA GUERRA DI GAZA HA BLOCCATO IL DIALOGO INTERRELIGIOSO
Lunedì mattina la delegazione vicentina in Terra Santa si è recata al Patriarcato dove ha incontrato il cardinale Pierbattista Pizzaballa. È stata l’occasione per sentire dalla voce del pastore della chiesa cattolica in Terra Santa la sofferenza di questa popolazione e la grande preoccupazione per il futuro. “C’è anche molta paura della situazione, della violenza in crescita, e soprattutto per le prospettive del futuro cosa sarà condizionato dai sentimenti negativi e di odio profondo che si sono creati. Chi andava a lavorare in Israele vi tornerà? E gli israeliani accetteranno ancora degli arabi palestinesi nelle loro aziende?” Il pensiero di Pizzaballa va ai giovani che “hanno bisogno di non perdere la fiducia e di credere che, nonostante la situazione sia la più grave degli ultimi anni, è possibile trovare delle vie d’uscita”. Il cardinale non è molto fiducioso rispetto a quanto stanno facendo i leader politici ma è anche convinto che “noi intanto non possiamo rimanere qui solo ad aspettare, dobbiamo fare qualcosa”. E così la comunità ecclesiale di Gerusalemme ha lanciato un appello per creare lavoro per le tantissime persone che sono rimaste a casa. “A Betlemme, per esempio - racconta Pizzaballa - abbiamo aperto due nuovi centri pastorali, uno per coloro che hanno vari tipi di dipendenza e un altro per le famiglie e sono centri che hanno bisogno di essere sistemati e dove vanno fatti dei lavori di ristrutturazione. Ecco, qui può venire un po’ di gente a lavorare”. La gravissima situazione ha inferto una grave ferita anche al dialogo interreligioso. Tutte le persone - ha aggiunto - hanno diritto alla giustizia, alla vita, alla dignità. Noi siamo per la liberazione degli ostaggi, ma anche perché i palestinesi che si trovano a Gaza possano vivere con dignità. 30mila morti a Gaza è una cosa inaccettabile. Non si può parlare del 7 ottobre senza considerare che poi c’è stato anche l’8 ottobre”.
LE SUORE DOROTEE DELL'ISTITUTO EFFETA' - I CRISTIANI DI GERUSALEMME CHIEDONO DI NON ESSERE DIMENTICATI
Speranza. E’ stata una delle parole che più è risuonata durante il pellegrinaggio compiuto dalla delegazione della Diocesi di Vicenza nella prima metà di febbraio. “E’ risuonata maggiormente per indicare che è la cosa che manca di più oggi in Israele e Palestina - osserva Lauro Paoletto, componente della delegazione. Percorrendo le strade di Gerusalemme, ma soprattutto quelle di Betlemme colpiscono i negozi e le diverse attività economiche chiuse. Alla Basilica della natività siamo entrati senza fare alcuna fila, quando normalmente ci sono sempre tantissime persone”. Le suore dorotee di Effetà raccontano come le famiglie dei bambini e ragazzi che frequentano il loro centro negli ultimi mesi non siano stati in grado di pagare la retta (modesta) prevista. “Il nostro istituto – ha raccontato la superiora suor Carmela - è un segno anche di Chiesa, che accoglie chiunque e non chiude le porte a nessuno e non a caso moltissimi dei bambini e ragazzi che frequentano il nostro Centro sono mussulmani. In questo è anche un segno chiaro di dialogo”. Il nostro autista arabo cristiano di fronte alla domanda se ha speranza per il futuro dei suoi figli, ci chiede “Quale speranza può avere un ragazzo che ha visto uccidere sette suoi familiari e che ora è solo?” Quello che manca tra le varie presenze che abitano la Terra Santa (ebrei, arabi mussulmani e arabi cristiani) è la fiducia reciproca, come emerge dall’incontro con il Custode di Terra Santa p. Francesco Patton e anche dal confronto con frà Diego Dalla Gassa che osserva come “la guerra abiti il cuore di molte persone qui in questa terra e questo crea inevitabilmente diffidenza”. Rispetto alle prospettive, come nota fra Diego, “si naviga a vista”. Nessuno azzarda previsioni. La soluzione dei “due popoli, due stati” sembra oggi irrealizzabile, ma non appaiono all’orizzonte alternative credibili. Fra Diego invita alla preghiera e a pregare per i nemici.
Dalla Gassa, come tanti degli altri testimoni che la delegazione ha incontrato, non nasconde la tristezza che abita il loro cuore davanti a tanta distruzione e a così tanti morti in così poco tempo. “Passando a Betlemme, incrociando più volte il muro di divisione e attraversando i checkpoint, si capisce che migliaia di persone – spiega Giulia Agostini - sono rinchiuse in una prigione a cielo aperto”. Lo confermano, peraltro, le Missionarie comboniane mentre raccontano i loro progetti con i beduini del deserto come un modo per credere ancora che un futuro diverso è possibile. La vita dei palestinesi è difficilissima perché - dichiarano ancora le suore Comboniane - “dipendiamo dagli umori locali e tutto questo crea grande incertezza nella realizzazione di qualsiasi progetto”. In tutto questo in particolare difficoltà risultano i cristiani di Terra Santa. “Gli ebrei ce l’hanno con noi in modo particolare soprattutto gli ebrei ortodossi (i più integralisti e indisponibili a qualsiasi confronto Ndr) - racconta un quarantenne arabo cristiano – d’altra parte per gli arabi mussulmani non siamo abbastanza arabi, perché siamo cristiani”. “E così – chiosa don Raimondo Sinibaldi - assistiamo a un calo progressivo della presenza cristiana in Terra Santa e a Gerusalemme, che è la nostra Chiesa madre.
Come ci ha raccontato il Custode di Terra Santa, molti cristiani se ne vanno per non tornare più. Ma come ci ha detto Patton restare in questa Terra è una vocazione”. L’appello che arriva da Gerusalemme è di sostenere e non dimenticare queste comunità cristiane ridotte al lumicino e questo è stato uno degli obiettivi della delegazione berica. Si tratta di un sostegno che può avvenire in tanti modi, compreso quello del pellegrinaggio. “La nostra venuta a Gerusalemme – commenta don Beppino – conferma che qui c’è un situazione di sicurezza. La tragedia che si vive a Gaza non raggiunge, almeno dal punto di vista militare Gerusalemme e altre città. E’ quindi possibile venire i pellegrinaggio e sarebbe importante farlo proprio come segno di vicinanza e sostegno a queste comunità. Loro qui ci aspettano come fratelli e sorelle nella fede”.